Depressione dopo il parto:
ne soffrono sempre più mamme
Il termine “baby blues” viene coniato dallo psicoanalista Donald Winnicott, per indicare una forma di malinconia, che in genere attanaglia alcune neo-mamme a pochi giorni dal parto.
Il fenomeno sembra essere di sempre maggiore espansione, infatti, secondo i dati statunitensi, la percentuale di donne colpite da baby blues oscilla tra il 50 e l’84%, di cui circa il 20% sviluppa la depressione post partum. Un fenomeno intenso, soprattutto alla luce dei numerosi episodi portati alla ribalta dalle cronache, per cui molte donne arrivano finanche ad uccidere i propri figli.
Generalmente lo stato emotivo della donna a fronte del parto, è suscettibile di variazioni tali, da renderla particolarmente vulnerabile, a fronte dei cambiamenti reali e fantasmatici che la nascita del proprio figlio comporta. Esso viene definito come un fenomeno di lieve entità, con insorgenza a pochi giorni dal parto, e che si risolve spontanemante in genere entro i 20 giorni. I sintomi generalmente riscontrati riguardano un umore instabile, con facile tendenza al pianto, tristezza, ansia, perdita di concentrazione e senso di incapacità nella gestione del proprio bambino.
Circa il 20% delle madri, sviluppano un peggioramento sintomatologico, che spesso possono sfociare in una vera e propria depressione post-partum, che vedono amplificati soprattutto i vissuti legati al senso di colpa verso il neonato, per cui si provano sentimenti di ambivalenza che oscillano tra l’amore profondo e viscerale, a sentimenti di distruzione. Esso può portare a difficoltà nella relazione diadica, come impossibilità a stabilire un contatto fisico, per esempio durante l’allattamento, o anche nelle attività del quotidiano, per cui il bambino viene lasciato deprivato delle cure anche primarie.
Come sottolineato dall’OMS gravidanza, parto e allattamento, rappresentano fenomeni normali nello sviluppo della donna; ciò che risulta importante è che questa relazione diadica venga quanto più possibile agevolata e facilitata, dalle persone significative, anzitutto il partner, nonché dalla società in cui la neomadre si inserisce nel suo nuovo ruolo.
Condannare o tacere, rispetto a fenomeni naturali, quali l’incapacità di una donna di aderire ad un modello precostituito di “buona madre”, può contribuire soltanto ad incentivare un’acuzione della situazione sintomatologica, che potrebbe sfociare in condizioni patologiche ben più drammatiche.
Necessario risulta dunque comprendere che questi fenomeni non rendono la neo-mamma “un mostro” da additare, bensì una persona con le sue naturali fragilità soggettive, che hanno bisogno di essere contenute e sviscerate. A livello soggettivo, laddove si riscontrino sintomi di tristezza e inadeguatezza, risulta fondamentale parlarne, manifestando le difficoltà che si riscontrano, e soprattutto cercando un sostegno che permetta di poter migliorare il proprio vissuto intrapsichico, rendendo la maternità un’esperienza appagante, e non soltanto un problema insormontabile privo di soluzioni e via d’uscita.