Migliorano gli stili di vita degli italiani:
più frutta, verdura e sport
La diminuzione dei consumi a rischio e la maggiore diffusione di abitudini salutari, ad esempio una vita non sedentaria e una dieta più ricca di frutta e verdura, accomuna tutte le generazioni italiane. Lo evidenzia l’Istat nel suo Rapporto annuale 2016. L’analisi sugli stili alimentari per generazioni eseguita dall’Istituto su un ventennio mette in luce un aumento consistente del consumo giornaliero di verdure e ortaggi tra il 1995 e il 2015, in particolar modo tra i nati dopo il 1965 (la generazione di transizione e la generazione del millennio).
Passando ad analizzare le attività fisiche e la sedentarietà, nel 2015 il 33,5% delle persone di 5 anni e più dichiara di praticare uno o più sport nel tempo libero; il 23,9% si dedica allo sport con regolarità, il 9,6% saltuariamente. Tra le nuove generazioni, i livelli di pratica sono superiori a quelli delle generazioni precedenti. Ulteriore segnale positivo è la progressiva riduzione del consumo di tabacco a partire dagli anni ’80.
Spazio anche alle note dolenti: se nei Paesi europei il sovrappeso e l’obesità si stanno diffondendo rapidamente e riguardano ormai una quota importante della popolazione anche in Italia, dove l’eccesso di peso tra gli adulti è meno diffuso rispetto alle altre nazioni europee, l’andamento è crescente, soprattutto tra i maschi (da 51,2% nel 2001 a 54,8% nel 2015). La diffusione del sovrappeso tra bambini e adolescenti è invece tra le più alte in Europa e di considerevole interesse per le ricadute sulla salute pubblica dei prossimi decenni.
Ancora, sono 8,4 milioni le persone di 15 anni e più (16,2% della popolazione) che nel 2015 hanno un comportamento a rischio nel consumo di alcol. Il consumo abituale che eccede la quantità di assunzione raccomandata riguarda il 15,4% degli uomini e il 6,6% delle donne ed è più diffuso tra adulti e anziani; al contrario il binge-drinking (il consumo di 6 o più bicchieri di bevande alcoliche in un’unica occasione) coinvolge soprattutto giovani e molto giovani, l’11,3% dei maschi e il 3,3% delle femmine.
Dal Rapporto emerge, inoltre, che in Italia il titolo di studio incide sulla speranza di vita, soprattutto per gli uomini. Ad esempio, a 25 anni di età, i cittadini con basso titolo di studio (al massimo la licenza media) hanno uno svantaggio nella speranza di vita di 3,8 anni rispetto ai laureati, mentre la differenza è di 2 anni tra le donne.
Ancora più netta la distanza tra laureati e persone che hanno conseguito al massimo la licenza elementare: 5,2 anni per gli uomini e 2,7 per le donne. L’effetto del titolo di studio si mantiene rilevante anche tra gli anziani (over 65), con un vantaggio per uomini e donne con titolo di studio elevato rispettivamente di 2 e 1,2 anni di vita.
Le diseguaglianze più pronunciate nella speranza di vita a 25 anni si osservano nei Paesi dell’Europa orientale, dove il divario tra titolo di studio alto e titolo basso supera gli 11 anni di vita tra gli uomini, con un picco di 15 anni in Estonia. La graduatoria dei Paesi Ocse per cui è disponibile l’analisi rimane sostanzialmente invariata a 65 anni, con distanze più contenute che comunque, tra gli uomini, superano i 6 anni nella Repubblica Ceca, in Cile e Ungheria. L’Italia si colloca però tra i Paesi più ‘virtuosi’: le differenze per titolo di studio sono decisamente contenute, almeno in termini comparativi.
(Fonte: Adnkronos)