Sostanze d’abuso, stop ai test sugli animali
L’esperto: “Ritardo culturale ed economico”
“Nel caso l’Italia decidesse di adottare restrizioni verso la ricerca sui farmaci d’abuso questo comporterebbe un ritardo sia culturale sia economico”. A dirlo all’Adnkronos Salute è Maria Del Zompo, Rettore dell’Università di Cagliari. Si è tenuto proprio oggi a Roma un incontro sul tema ‘Sostanze d’abuso e ricerca preclinica: quali prospettive’, organizzato da Research 4 Life per porre l’accento sull’imminente (1 gennaio 2017) entrata in vigore dei divieti all’uso di animali a fini scientifici proprio in questo settore e in quello degli xenotrapianti d’organo.
“Il ritardo culturale – spiega Del Zompo – si avrebbe perché la ricerca sui farmaci d’abuso è svolta attualmente in numerosi Paesi in maniera altamente competitiva e la stessa Italia può vantare numerose eccellenze in questo ambito. Pertanto, eventuali limitazioni a questo ambito di ricerca porterebbero a un divario tra le competenze dei ricercatori italiani e di quelli di altre nazioni, nonché al rischio concreto di una perdita delle eccellenze in questo campo che la nazione possiede e che ha formato con il proprio sistema universitario e di ricerca. Il divario economico sarebbe dovuto all’impossibilità di partecipare a bandi internazionali che abbiano come tematica la ricerca sui farmaci d’abuso. Questo non solo priverebbe il sistema della ricerca italiana di fondi ingenti, ma comporterebbe un danno economico in quanto l’Italia contribuisce a finanziare i progetti europei in questo ambito.
“Lo studio delle sostanze d’abuso negli animali – spiega Del Zompo, che è anche ordinario di Farmacologia – è di fondamentale importanza sia dal punto di vista biologico che normativo. Nel primo caso, i meccanismi molecolari alla base della farmacodipendenza nell’uomo sono pienamente riproducibili nell’animale da esperimento, dal momento che queste sostanze provocano piacere e il piacere è alla base della sopravvivenza. E’ evidente quindi che emozioni come il piacere non possono essere valutate in cellule, ma solamente in un organismo in toto. D’altra parte i neurotrasmettitori che mediano le sensazioni di gratificazione e ricompensa nell’uomo (ad esempio la dopamina) sono identici a quelli che mediano gli stessi fenomeni negli animali da esperimento e che gli animali manifestano numerosi comportamenti tipici della dipendenza umana, ad esempio la ricerca compulsiva di farmaci e l’astinenza”.
“Lo studio nell’animale – prosegue l’esperta – ha consentito di comprendere le basi psicologiche e comportamentali della dipendenza verso numerosi farmaci (amfetamine, cocaina, oppiacei) e si pone come imprescindibile nella caratterizzazione delle proprietà d’abuso delle nuove sostanze, ad esempio le ‘smart drug’, che vengono continuamente immesse sul mercato attraverso i siti internet. La sperimentazione sugli animali è inoltre fondamentale per l’inclusione delle suddette sostanze nelle tabelle degli stupefacenti delle farmacopee nazionali ed europea e quindi per porre le basi normative per la limitazione alla vendita libera delle stesse”.
“Relativamente al futuro del Paese – aggiunge il Rettore – è sufficiente che il legislatore si limiti a recepire, come previsto dalla legge, il parere dell’Istituto zooprofilattico della Lombardia e dell’Emilia Romagna, che hanno confermato con valide motivazioni come, attualmente, non esistano metodi alternativi all’utilizzo di animali da esperimento nella ricerca sui farmaci d’abuso, ma che l’utilizzo cosi come è previsto non causa sofferenza agli animali utilizzati a questo scopo. Il mancato recepimento di questo parere comporterebbe sicuramente una situazione in cui l’Italia si troverebbe a perdere competitività internazionale, sia per la mancanza di competitività dal punto di vista scientifico, sia per l’impossibilitá di attrarre fondi internazionali provenienti da bandi dedicati alla ricerca sui farmaci d’abuso”.
“Il tutto – conclude – su una base non comprovata dal punto di vista scientifico. Si registrerebbe un arretramento importante nella comprensione dei meccanismi che il nostro cervello utilizza nei sistemi studiati grazie a questo tipo di ricerca, che potrebbero peraltro tornare utili in futuro per approfondire lo studio anche di altre malattie neuropsichiatriche”.
(Fonte: Adnkronos)