Malattie da accumulo lisosomiale, primo seminario italiano a Bologna
Si è concluso ieri a Bologna il primo seminario italiano sulle malattie da accumulo lisosomiale, patologie rare che nel nostro paese colpiscono cento nuovi nati ogni anno. Esperti italiani e stranieri si sono confrontati sullo stato attuale delle diagnosi e dei trattamenti, affrontando anche aspetti clinici, organizzativi ed etici, da un punto di vista multidisciplinare.
Mucopolisaccaridosi di tipo I, malattia di Fabry, malattia di Pompe, malattia di Gaucher: nomi difficili anche solo da pronunciare, che identificano alcune delle oltre 50 malattie da accumulo lisosomiale ad oggi identificate. Un gruppo di patologie rare di origine genetica, con una frequenza stimabile di 1 per ogni 5-6 mila nati vivi, accomunate da un’alterazione delle funzioni dei lisosomi (organuli deputati alla degradazione e al riciclo dei materiali prodotti dal metabolismo cellulare) e in particolare da carenza o malfunzionamento di specifici enzimi responsabili delle loro attività.
“Le malattie da accumulo lisosomiale sono malattie genetiche rare con quadri clinici caratterizzati da un’estrema variabilità – spiega Generoso Andria, del dipartimento di Scienze mediche traslazionali, sezione di Pediatria dell’Università Federico II di Napoli – L’età d’esordio è variabile, in genere pediatrica, ma non sempre. Per questo è in corso un acceso dibattito sugli aspetti etici di una diagnosi presintomatica realizzabile attraverso uno screening neonatale, senza una conoscenza precisa della storia naturale del paziente individuato. Un dibattito oggi molto attuale perché, se fino a poco più di 20 anni fa l’unica terapia proponibile per queste patologie rare era una terapia sintomatica mirata a combattere le complicanze neurologiche, ortopediche, nutrizionali, respiratorie, oggi disponiamo invece di diversi approcci terapeutici che sono in grado di aumentare i livelli dell’attività enzimatica geneticamente carente, come ad esempio la terapia enzimatica sostitutiva (Ert), con un’efficacia documentata anche sulla qualità di vita del paziente. Per questo è importante un confronto fra medici, istituzioni, associazioni di pazienti e tutti gli attori coinvolti, sull’opportunità di un allargamento degli screening neonatali anche alle malattie da accumulo lisosomiale, per consentire una diagnosi di individui asintomatici con storia familiare negativa e l’avvio precoce allo specifico trattamento”.